sabato 30 marzo 2013

Come si festeggia la Pasqua in Venezuela?

Spulciando fra le tradizioni pasquali venezuelane, abbiamo trovato in rete questa intervista davvero curiosa. Ve la proponiamo, anche perché rivela alcune differenze rispetto alle nostre usanze.

La signora Rossanna è di religione cattolica.

Come si festeggia la giornata di Pasqua in Venezuela?

Si trascorre in famiglia e si celebra la Messa più volte.

Quali sono i preparativi per questa festa?
I preparativi cominciano la domenica delle palme. Si va in chiesa per benedire i rami delle palme e non dell’ulivo, perché qui non c’è l’ulivo. Dopo la messa, si intrecciano le palme a forma di croce e si attaccano all’uscio e alle porte delle camere come segno di protezione. Si va in sette chiese per visitare il Nazareno e per pregare. Il giovedì c’è la lavanda dei piedi tra vicini di casa per rafforzare l’amicizia ed il rispetto. Il venerdì, la Via crucis. Tutto comincia alle sette di sera, al tramonto. Le statue che hanno attinenza con la crocifissione vengono portate in giro. Il sabato non si mangia carne, solamente pesce.
Si fanno dei dolci particolari?
Si prepara una ciambella con crema pasticcera, noccioline tritate ed un uovo crudo. Il suo nome è Rosca de Pascua.
Quando festeggiate la domenica delle palme?

Il primo aprile e non c’è lo scambio delle palme con agli altri.

Come festeggiate la domenica di Pasqua?
Si festeggia in famiglia. A pranzo si mangia la carne, accompagnata dal riso, da una banana grande, cucinata al forno oppure fritta, e l’insalata di avocado e palmito, un bastoncino lungo e bianco che viene dal cuore delle palme. Lo tagliamo a pezzi e lo condiamo con il resto dell’insalata. In questo giorno si brucia il fantoccio che rappresenta Giuda, per porre fine al tradimento. Non si festeggia il lunedì dell’Angelo o Pasquetta.

Rosca de Pascua - la ricetta

Ingredienti
500 g di farina
50 g di lievito di birra
1/2 tazza di latte freddo
150 g di burro ammorbidito
150 g di zucchero
3 uova e 3 tuorli
1 cucchiaino di acqua di fiori d'arancio
scorza grattugiata di un'arancia
sale

Per decorare
Crema pasticcera e tre uova 


Preparazione

Fate intiepidire il latte e scioglietevi il lievito. Nel frattempo, montate il burro morbido con lo zucchero, le uova, i tuorli, la scorza d'arancia, un pizzico di sale e l'acqua di fiori d'arancio. Sistemate la farina in una capiente ciotola, formate un buco al centro e versatevi il composto di uova e il lievito sciolto.

Impastate bene gli ingredienti, fino a quando non raggiungono una consistenza morbida e compatta. Dopo aver formato una palla, spolverate la superficie con poca farina e riponete l'impasto in una ciotola imburrata. Coprite e lasciate riposare in luogo asciutto per almeno due ore (deve raddoppiare il volume).

Riprendete, quindi, l'impasto e, su di un piano infarinato, lavoratelo nuovamente, dandogli la forma di una ciambella regolare. Riponete la ciambella su una placca da forno imburrata ed infarinata (o coperta di carta forno), sistemate lungo l'impasto le uova sode, poi decorate la pasta a piacere con la crema pasticcera. Lasciate riposare ancora per una seconda lievitazione.
 

Passate, quindi, in forno moderato (180° circa) per 35-40 minuti, controllando la cottura interna con uno stuzzicadenti. Una volta pronta, sfornate la ciambella e lasciate riposare qualche minuto.

La Rosca  può essere farcita con crema al cioccolato, frutta candita, pasta di mandorle, o bagnata con uno sciroppo realizzato con cognac e zucchero a velo.


 




 

 

 
 
 
 

 

venerdì 29 marzo 2013

Pasqua in Albania, la storia di Papakosmas Papasabbas

Dato che la Pasqua si avvicina, abbiamo pensato di curiosare fra le tradizioni albanesi. Il testo che vi proponiamo è frutto di alcune ricerche in rete. Racconta la storia di Papakosmas Papasabbas e spiega il perché delle uova rosse.

E' giunta fino a noi la storia di Klearcos Papasabba, del villaggio di Drimades in Albania, che fa parte di quella regione di origine greca nota come Epiro del nord. Quest'uomo diventò, in seguito, sacerdote, prendendo il nome di Papakosmas Papasabbas.
Da più di 200 anni, per ogni generazione, qualche discendente della famiglia di Papasabbas diventava sacerdote. L'ultimo di questi serviva la parrocchia di S. Charalampos e S. Spiridione, celebrando la liturgia in lingua greca, perché il villaggio, come altri, non aveva mai cessato di esprimersi in tale lingua. La catena benedetta si interruppe nel 1967, quando l'Albania dichiarò Dio inesistente.
Figlio di una famiglia di presbiteri, Klearcos aveva il desiderio nascosto di diventare anch'egli sacerdote. Ma come avrebbe potuto, dal momento che il governo ateo non lo permetteva?

Andò, allora, a Valona e studiò da maestro. In qualunque posto fosse chiamato ad insegnare, parlava sempre di Cristo. In seguito fece il servizio militare: anche lì teneva le catechesi ai soldati, malgrado il controllo del regime. Tutti i suoi amici consigliavano: «Klearce, non parlare più, andrai in prigione».
E, chiaramente, nonostante Klearcos avesse prestato attenzione e nonostante il rispetto che gli portavano i soldati, una spia lo denunciò. Venne arrestato e condannato a sette anni di prigione, ma rimase sempre fedele alla sua fede in Cristo, non cessando neanche lì di insegnare la parola di Dio. Uscito di prigione, lasciò al suo posto, quale insegnante, il guardiano, segretamente diventato cristiano.
Klearcos tornò al suo villaggio, dove venne arrestato per la seconda volta e condannato ad altri sette anni di prigione. Subì molte torture, ma non lo piegarono. Era accusato di non portare rispetto ai giudici. Mentre lo giudicavano, infatti, egli si alzò e disse: «Voi mi avete giudicato, ma Egli non ha ancora giudicato». E, dicendo queste parole, alzò la mano e mostrò in alto. Quindi, facendo il proibito segno della croce, si sedette.

E Dio vide e forse giudicò: Klearcos non scontò interamente la sua condanna, dal momento che il regime cadde. Mentre usciva di prigione, uno dei suoi guardiani, il più severo, abbassando la testa, gli disse: «Non avete vinto voi, ma il vostro Dio».
La storia ci dice che, in seguito, si recò in Grecia, dove divenne sacerdote, continuando, nonostante tutto, la sacra tradizione familiare.

Quello che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio!
In tutti i villaggi della regione, gli agricoltori che ancora oggi raccontano la storia di Papakosmas, ricordano sempre un prodigioso avvenimento. Mentre Klearcos faceva il servizio militare, aveva con sé un folto gruppo di soldati a cui insegnava la parola di Dio.

Molte volte tutte queste persone andavano di nascosto nel bosco, di notte, per pregare insieme.

Nel mese di aprile, poi, avvicinandosi la Pasqua ortodossa, Klearcos voleva realizzare l'impensabile: festeggiare la Santa Pasqua di Resurrezione insieme ai soldati diventati cristiani (grazie a lui, sempre di nascosto!).
Tutti, allora, pensarono a come organizzare una fuga dalla caserma per la Santa Notte. Trovate le candele, olio e lampade provenienti dalla Grecia, presero nei loro sacchi anche pane, olive, formaggio e uova e salirono al monte «mali logara», un luogo molto lontano, dove neppure i pastori andavano a pascolare le bestie.
Questi strani pellegrini, arrivati alla montagna dopo tante ore di cammino, trovarono una grotta e vi si rifugiarono. Tutti erano pieni di gioia. Dopo il dovuto riposo, per prendere fiato, Klearcos cominciò a cantare con passione sia in lingua greca che in lingua albanese, per essere meglio compreso da tutti i soldati. E, dopo la grande gioia di aver proclamato «Krishti u ngjall», «Cristo è risorto», si abbracciarono con commozione, lodando l'Altissimo.

Dopo aver recitato tutte le orazioni, i soldati cominciarono a chiedere a Klearcos spiegazioni sulla passione del nostro Salvatore e della Sua gloriosa resurrezione.
Rimasero stupiti soprattutto dal «grande miracolo» della Resurrezione. Klearcos rispondeva loro: «Se abbiamo fede, fratelli miei, molti miracoli vedremo anche nella nostra vita».

Si prepararono, quindi, a mangiare qualcosa prima di ripartire per far ritorno alla caserma. Avrebbero, in cuor loro, desiderato certamente scambiarsi gli auguri, festeggiando secondo la tradizione, con le uova rosse. Purtroppo si dovevano accontentare di ben poche cose per quella cena frugale: pane, olive, formaggio...

Infine aprirono anche il piccolo pacco ove avevano riposto qualche uovo. Ed ecco, rimasero impietriti come statue: le uova bianche erano diventate rosse!

Per primo si riebbe un soldato, che gridò: «Vezè tè Kuqe», «Uova rosse!». Non si fecero né domande, né si diedero spiegazioni: avevano compreso il miracolo che si era compiuto anche per loro, in quella piccola grande Santa Pasqua e, in silenzio, ripartirono!

Krishti u ngjall!
Cristo è risorto!
 

mercoledì 27 marzo 2013

Come si festeggia la Pasqua in Romania?

Dato che la Pasqua si avvicina, abbiamo pensato di curiosare fra le tradizioni rumene. Il testo che vi proponiamo è frutto di alcune ricerche in rete. Ci ha aiutato a riflettere in classe su usanze diverse dalla nostre, ma altrettanto belle ed interessanti.
 
Pasqua ortodossa 2013: 5 maggio

La data della Pasqua ortodossa non coincide con quella della Pasqua cattolica, anche se a volte le due festività cadono nello stesso giorno. Per la chiesa ortodossa è la festa più importante. Si trascorre in famiglia e con gli amici, mentre, durante l'intera Settimana santa, si svolgono celebrazioni speciali. La Resurrezione del Signore coincide con il risveglio della natura e invita ad un profondo rinnovamento dello spirito umano. La Quaresima consiste nell’osservanza del digiuno, accompagnato dalle preghiere e da una accurata pulizia delle case da parte delle donne; delle stalle, degli attrezzi e dall’inizio dei lavori agricoli da parte degli uomini. Il Giovedì santo è dedicato alla raccolta della legna, alla pulizia dei cortili e all’uccisione dell’agnello. Le donne, in questo giorno, preparano la pasca (dolce tradizionale di ricotta) e dipingono le uova. Una volta lo facevano con tinture vegetali. Le uova rosse non mancano mai e su questo argomento sono fiorite molte leggende. Si dice che le pietre usate per colpire Gesù durante la flagellazione si siano trasformate in uova rosse e che anche le uova portate da Maria al Figlio morente si siano colorate di rosso. «Quando questo gallo di cui ci nutriamo riprenderà a volare, e le uova sul nostro desco diventeranno rosse, allora risusciterà Gesù». Le uova diventarono rosse e il gallo comincio a svolazzare.
L’uovo, in Romania, è simbolo di rigenerazione e di purificazione. La tradizione popolare attribuisce alle uova rosse poteri taumaturgici: i bambini, nel giorno di Pasqua, si lavano il viso con acqua, nella quale sono stati immersi un uovo tinto di rosso e un soldo d’argento. Il pranzo riunisce tutta la famiglia e sulla tavola non possono mancare uova rosse, ricotta di pecora, ravanelli, una torta salata ripiena di interiora di agnello, arrosto di agnello, pasca.
 
Se in altri paesi c’è l'usanza delle uova pasquali di cioccolato, in Romania, secondo la tradizione ortodossa, si preparano e consumano uova sode colorate o dipinte. Le uova si decorano in casa con il rosso, il giallo, il verde e l’azzurro, oppure attaccando sagome di carta  e foglioline di verdura a forma di croce. L’uovo viene coperto con buccia di cipolla, che conferisce al guscio un colore marroncino, e messo a bollire. Una volta raffreddato, il guscio dell’uovo viene spalmato d’olio per renderlo brillante.

Gli artigiani rumeni, però, trasformano le uova colorate in veri capolavori d’arte popolare. L’usanza di dipingere le uova per la Pasqua è diffusa in tutta la Romania, ma quelle dipinte in Bucovina, regione storica nel nord-est della Romania, sono speciali grazie all’uso della cera calda per fare i disegni, mescolata a colori vegetali, alle tecniche elaborate e, soprattutto, ai motivi ornamentali: uccelli, animali, simboli e scene bibliche.

PASTE FERICIT TUTUROR!
Per fare la PASCA
Aluat/Impasto

600 g faina/600 g farina
125 g unt/125 g burro
120 ml smantana/120 ml panna
50 ml lapte/50 ml latte
70 ml apa/70 ml acqua
100 g zahar/ 100 g zucchero
2 plicuri zahar vanilat/2 bustine vaniglia
4 galbenusuri/4 tuorli
1 lingura ulei/1 cucchiaio di olio
coaja de la o lamaie/buccia di limone
25 g drojdie/25 g lievito di birra
Umplutura/ripieno
450 g branza vaci /450 g ricotta opp. Ghiotofreschi
60 ml smantana/60 ml panna
un pumn de stafide/un pugno di uvetta
2 linguri zahar/2 cucchiai zucchero
1 ou si 1 galbenus/1 uovo e un tuorlo
vanilie si coaja de portocala/vaniglia e buccia di arancia
Preparare/preparazione
1. Eu am folosit masina de facut paine. Pentru cine doreste sa framante cu mana, puneti drojdia in putin lapte caldut impreuna cu o 1 lingura zahar si o lingura de faina. Amestecati bine si lasati la dospit cca 20 minute. Puneti faina intr-un vas incapator, adaugati untul moale, ouale batute, restul de ingrediente si drojdia care a dospit. Framantati bine aluatul, daca e nevoie mai adaugati putina faina cat sa nu vi se prinda de maini aluatul. Lasati la dospit cca 1 1/2 h in loc cald, acoperit cu un stergar.
2. Pentru umplutura, puneti la inmuiat stafidele in putina apa sau rom. Dupa cca 15 minute le amestecati cu restul ingredientelor.
3. Luati parte din aluat, faceti 3 bilute, le intindeti sa aveti fasii lungi pe care le puteti impleti. In acest fel faceti manerul de la cosulet.
4. Restul de aluat faceti o foaie ovala si jumatate o umpleti cu umplutura dupa care acoperiti cu cealalta jumatate. Cu resturi de aluat puteti face decoratii in forma de cruce sau cum va place. Lipiti manerul de cosulet, ungeti cu un galbenus batut cu 2-3 linguri de lapte si o lingurita de zahar si coacem la cuptor la 180C.
5. Daca pregatiti in tava rotunda faceti o foaie de un lat de deget putin mai mare decat tava, aranjati foaia in tava unsa cu unt in asa fel incat sa aiba putin marginile in sus sa tina umplutura. Asezati umplutura. Pe marginea tavii puneti o fasie de aluat iar in mijloc puteti decora cu bucatele de aluat in forma de cruce, frunze, floricele….* daca faceti in forma rotunda aveti nevoie de o cantitate mai mare de umplutura si de mai putin aluat.
6. Dati la cuptor.
7. Serviti in ziua de Pasti impreuna cu miel si oua rosii!

1. Impastiamo tutti gli ingredienti, mettendo il lievito in poco latte con un cucchiaio di zucchero o uno di farina. Mescoliamo e lasciamo lievitare per 20 minuti. Versiamo la farina in un contenitore, aggiungendo tutti gli ingredienti e il lievito. Lasciamo lievitare per un'ora e trenta minuti.

2. Per il ripieno, mettiamo a mollo in acqua l'uvetta. Dopo 15 minuti, strizziamo e mescoliamo con il resto degli ingredienti.

3. Prendiamo parte dell'impasto e facciamo la treccia che sarà il manico del cestino.

4. Con il resto dell'impasto facciamo una sfoglia ovale e la riempiamo con il ripieno. Copriamo con l'altra metà e spennelliamo con un tuorlo mescolato con 2-3 cucchiai di latte e un po' di zucchero.

5. Mettiamo tutto in una teglia a cuociamo in forno a 170 gradi.
 
 

martedì 19 marzo 2013

Albania, Romania e Venezuela in fiaba... diciamo la nostra

Il confronto tra fiabe appartenenti a culture diverse è stato davvero interessante! Anche perché abbiamo letto i testi, oltre che in italiano, anche in lingua originale. Per ogni fiaba non manca mai un messaggio da cogliere. Ma non sempre possiamo essere d'accordo su ciò che ci viene detto. Di seguito, le nostre opinioni (cliccando sui titoli, è possibile leggere le singole fiabe).


La gallinita sabia - La gallinella saggia (Spagna - Venezuela)

Una gallina, mentre camminava, trovò un chicco di grano e decise di seminarlo. Chiese aiuto ai suoi amici, ma tutti rifiutarono di dare una mano, inventando scuse. Il povero animale fu costretto a fare il lavoro da solo. Passato un po' di tempo, dal terreno spuntò una pianticella, che diventava sempre più robusta e alta. Finalmente arrivò il giorno in cui la gallinella raccolse la prima spiga di grano e la usò per preparare una torta buonissima. I suoi amici, in coro, le dissero che il dolce aveva un aspetto e un profumo deliziosi. Ma la gallina lo gustò solamente con i suoi pulcini. Morale della fiaba: chi aiuta, raccoglierà i frutti. Chi rifiuta di dare una mano, non riceverà nulla in cambio.

Non sempre, però, è così. Infatti, molte volte, gli egoisti riescono ad ottenere anche più delle persone generose. L'esempio possiamo trovarlo quotidianamente tra i banchi di scuola. Ci sono alunni che studiano per i compiti in classe e prendono un buon voto. Altri che non si impegnano per niente, copiano dagli altruisti e ottengono risultati identici. A volte anche migliori.




Francesca Ramunno
Gianluca Gjepali
Rocco Carducci
Emilio Parao
Lucia Di Cioccio
Eleonora Critelli
Pierpaolo Petrella
Cinzia Liberatore


Cocoşul curajos - Il gallo coraggioso (Romania)

Tanto tempo fa, c'era un contadino così povero che non aveva nulla da mangiare. Possedeva, però, un gallo, che continuava a fargli compagnia. Lo considerava un peso e si lamentava di lui. Il gallo, sempre più umiliato, decise improvvisamente di andare a fare un giro. Ad un certo punto, trovò una busta piena di monete. Alcuni ladri se ne accorsero, lo presero e, per derubarlo, lo buttarono in un pozzo. Il gallo bevve tutta l'acqua, poté uscire e inseguì i malviventi. Questi lo catturarono, gettandolo nel fuoco di un camino. Ma l'animale riuscì a sfuggire alle fiamme usando l'acqua che aveva inghiottito. Raggiunse nuovamente i ladri, che lo chiusero in una grotta piena d'oro. Il gallò ingoiò quante più monete possibili e scappò, tornando a casa. Da quel giorno, il contadino lo trattò come il suo migliore amico.

Nonostante le lamentele ed il carattere del contadino, il gallo è riuscito a renderlo felice. Ma solamente perché ha portato a casa l'oro. Queste lezioni sull'intercultura e, in particolare, sulla fiaba, sono state molto interessanti ed istruttive perché ci hanno insegnato concetti nuovi. Scopriamo l'importanza del confronto per essere cittadini consapevoli nella società in cui stiamo crescendo.

Alesia Hoxha
Ilenia Tedeschi
Angela Cavallaro
Claudio del Boccio


Rrenat e Nastradinit (Albania)

Tutti conoscevano Nasdredin e tutti sapevano che raccontava sempre bugie. Una dopo l'altra. Un giorno arrivò in paese un forestiero. Disse che avrebbe voluto sfidare il giovane bugiardo e che non sarebbe cascato nei suoi tranelli. Nasdredin rispose che accettava la sfida, ma che doveva andare un attimo a casa a prendere il sacco di bugie. Trascorsero la mattina e il pomeriggio. Arrivò il tramonto. Passò un uomo di paese e suggerì al forestiero di rassegnarsi, perché Nasdredin aveva ingannato anche lui.

Questa fiaba dimostra una cosa molto importante: coloro che vogliono fare i «furbetti», prima o poi troveranno chi si oppone. Ma potrebbe anche accadere che quest'ultimo venga, a sua volta, ingannato. L'invito ai «furbetti» è a fare un passo indietro.




Giovanni Di Loreto
Pierpaolo Petrella
Giada Ferrera
Nadia Xhinani
Irma Methasa
Bleona Paja
Meghena Xhinani
Vincenzo Di Cristofaro
Klesa Methasa
Giada Zavarella
Lorenzo Ferrera
Ilaria Cafarelli
Lorenzo Andrei Udila

domenica 17 marzo 2013

Cara Maria, sei una donna molto coraggiosa...

Riportiamo, di seguito, le nostre riflessioni sulla testimonianza di Maria, costretta a lasciare i propri figli in Moldavia per cercare lavoro in Italia.


Cara Maria,
durante il nostro corso sull'intercultura stiamo leggendo la tua storia, che è molto triste. Proprio per questo ammiro il coraggio con il quale l'hai affrontata. Sono rimasta colpita dal modo in cui descrivi il tuo arrivo in Italia. Affermi che nelle pizzerie della Moldavia le persone sono più allegre, ridono, a differenza di quanto avviene nella nostra nazione. Sarei curiosa di conoscere qualcosa di più su una delle tue esperienze lavorative, quella da muratore, poiché in Italia non si vede tutti i giorni una donna che veste questi panni. Riflettendo in aula, ci siamo resi conto che è testimonianza di umiltà. Spero di continuare a leggere la tua storia, che mi potrebbe insegnare molto sulla vita.
Francesca Ramunno

La storia che stiamo leggendo è ricca di emozioni. Maria è una donna che ha dovuto affrontare molte sofferenze, sposando un uomo violento e allontanandosi dai figli per cinque lunghi anni. Ha pensato da sola a sfamarli e a ristabilire un equilibrio in famiglia. Fra la sua e la nostra cultura, quindi fra la Moldavia e l'Italia, ci sono tante differenze. Maria è andata in pizzeria indossando abiti eleganti perché nel suo paese si tratta di un evento speciale. Non accade tutti i giorni di mangiare la pizza! Invece, per noi, è un'abitudine. Nel suo paese, tra l'altro, le ragazze si sposano giovanissime, a 18 anni o prima, mentre da noi a 28-30 anni. Su questo non concordo perché affrontare il matrimonio è una scelta importantissima, che non si può fare da adolescenti.
Eleonora Critelli

La storia di Maria ci fa riflettere tanto. Non è facile affrontare un matrimonio a diciotto anni o meno, né andare via dal paese d'origine per necessità. Deve essere stato molto doloroso non vedere i propri figli per cinque anni.
Ilenia Tedeschi

Maria,
non ho avuto un'esperienza come la tua, ma posso provare ad immaginare il dolore provato nel lasciare affetti e paese d'origine. Sono stati cinque anni difficili per te, ti sarai sentita persa. Non so come avrei reagito se fossi stata al posto tuo, però le tante differenze mi sarebbero pesate.
Ilaria Cafarelli

Cara Maria,
stiamo leggendo la tua testimonianza in classe e sono rimasta molto colpita da quello che scrivi. La storia è davvero triste, ma il coraggio che hai avuto nel lasciare la famiglia in Moldavia ti fa onore. Credo che non sia stato semplice per te, ma ti sei sacrificata per assicurare un futuro ai tuoi figli. Mi chiedo se al tuo posto avessi usato la stessa determinazione. La vita ti ha fatto spiacevoli sorprese, ma non è mancato il coraggio di andare avanti. Sono curiosa di continuare a leggerti.
Ludovica Petrella

Cara Maria,
leggendo in classe la tua storia, mi sono resa conto di quanto sia difficile indossare i panni che vesti tu, lasciare la famiglia. Una testimonianza triste, ma anche molto coraggiosa, perché, per l'assenza di tuo marito e nonostante la lontananza dai tuoi figli, hai dovuto fare da padre e da madre. Mi piacerebbe conoscerti. Mettiti in contatto con noi attraverso questo blog.
Sara Berardini

Dover lasciare i propri figli per partire alla ricerca di un lavoro penso sia l'esperienza più dolorosa che una mamma possa provare.
Lorenzo Ferrera

Se potessi incontrare Maria, le chiederei che cosa pensava e sognava per la sua vita nel momento in cui si stava sposando.
Giada Ferrera

Cara Maria,
hai dovuto lasciare il bene più prezioso al mondo, i tuoi figli. Vorrei poterti conoscere per farti tante domande. Dalle tue parole si percepisce che sei una donna molto coraggiosa.
Giovanni Di Loreto


giovedì 14 marzo 2013

Per un nuovo vocabolario dell'accoglienza

Intercultura come confronto tra lingue diverse. Un altro tassello importante si aggiunge al nostro itinerario. In che modo vengono scritte e pronunciate in Albania, Romania e Venezuela le parole che utilizziamo quotidianamente a scuola? Ad esempio bravo, leggi, silenzio, prendi il quaderno, siediti? Lo abbiamo scoperto spulciando tra le pagine di questo prezioso vocabolarietto dell'accoglienza.

Ma la nostra curiosità è andata oltre. Nel mondo della fiaba. Così abbiamo letto in classe delle fiabe che provengono direttamente dal Venezuela, dalla Romania e dall'Albania. In lingua originale e in italiano. In questo ci hanno dato una mano alcuni dei nostri compagni di scuola, che sono stati davvero bravi.

Per chi abbia voglia di consultare i testi da noi analizzati, può cliccare su questo link. Per la Romania, ci è toccata la fiaba del Gallo coraggioso, per l'Albania quella sulle Bugie di Nasredin, per il Venezuela, la Fiaba di Carmen.

Buona lettura.

martedì 12 marzo 2013

L'ufficio anagrafe si trasferisce per qualche ora a scuola

Mercoledì 6 marzo, a scuola, abbiamo incontrato la dottoressa Henryka Bogacka, responsabile dell'ufficio Servizi demografici del Comune di Pratola Peligna. Lei è nata a Danzica, in Polonia, ma vive in Italia da circa quarant'anni. Ha anche insegnato in Trentino Alto Adige e nel Lazio. Il confronto ci è servito ad imparare tante cose nuove sull'anagrafe e sulla cittadinanza. E, soprattutto, sul concetto di intercultura.











Siamo partiti dall'ultimo censimento della popolazione pratolana e della nostra nazione, quello fatto ad ottobre 2011. Henryka ci ha spiegato che avviene ogni 10 anni e che, in totale, in Italia, ce ne sono stati quindici. Vanno esclusi gli anni 1891 e 1941. Ne fu aggiunto uno nel 1951. Della raccolta e dell'elaborazione dei dati si occupa l'Istat, Istituto nazionale di statistica. Seguiremo il consiglio di visitare il sito internet.

All'Ufficio anagrafe ci si iscrive o per nascita o quando si cambia residenza, passando da un paese all'altro. Quest'ultimo caso avviene per gli stranieri che si stabiliscono nel nostro o in un altro Comune italiano per un periodo superiore a tre mesi.

Quando si tratta di nascita, ci ha spiegato Henryka, bisogna badare alla residenza della mamma. Se risiede a Pratola, ad esempio, ed il bambino nasce a Sulmona o anche all'estero, deve essere iscritto all'anagrafe di Pratola. Attualmente il nostro paese conta 7809 residenti. Risultano tutti registrati su schede anagrafiche cartacee ed elettroniche. Di questi, 632 sono stranieri (302 maschi e 330 donne). 286 provengono dall'Albania (149 maschi e 137 donne), 122 dalla Romania (54 maschi e 68 donne), 42 dal Venezuela (19 maschi e 23 donne).

Secondo le leggi italiane sulla cittadinanza, per risultare cittadino della nostra nazione, almeno uno dei genitori deve essere nato in Italia. Anche il matrimonio con un italiano permette di diventare cittadino del nostro Stato.

Henryka si è soffermata sui casi in cui si può perdere la cittadinanza. Questo avviene per rinuncia o per arruolamento volontario nell'esercito di un altro Stato.

I cittadini extracomunitari possono acquisire la nostra stessa cittadinanza dopo 10 anni di residenza ininterrotta in territorio italiano. Quelli comunitari, dopo 4 anni di residenza ininterrotta in Italia. Solitamente si attendono due anni per avere la risposta, ma i tempi possono anche essere molto più lunghi. Informazioni importanti sono contenute nel sito del Ministero degli affari esteri.

Ringraziamo Henryka Bogacka per aver accolto il nostro invito ad incontrarci.

Giada Ferrera
Rocco Carducci
Eleonora Critelli
Lorenzo Ferrera
Sara Berardini
Matteo Tofano
Manuel D'Innocenti
Petrella Pierpaolo
Blersand Muja
Giovanni Di Loreto
Ludovica Petrella
Cinzia Liberatore
Lucia Di Cioccio
Angela Cavallaro
Lorenzo Udila
Giada Zavarella

domenica 10 marzo 2013

Tirana, Bucarest o Caracas? Lo chiediamo in agenzia...

Intercultura significa anche rendersi conto di come raggiungere i posti che stiamo prendendo in considerazione. Gli stessi da cui provengono molti residenti a Pratola Peligna. Quanto ci costa andare a Tirana, Bucarest o Caracas? Una ricerca sul campo ha dato questi risultati.
 
Immaginiamo di partire il 6 aprile 2013 e di tornare dopo una settimana, il 14.

Per Tirana c'è un volo diretto Alitalia da Roma del costo di 209 euro, andata e ritorno, tasse di viaggio comprese. Il tempo per arrivare a destinazione è di un'ora e trenta minuti.

Per Bucarest c'è un volo diretto Alitalia da Roma del costo di 175 euro, andata e ritorno, tasse di viaggio comprese. Il tempo per arrivare a destinazione è di due ore e trenta minuti.

Per Caracas c'è un volo Iberia da Roma, con scalo a Madrid, del costo di 642 euro, andata e ritorno, tasse di viaggio comprese. Il tempo per arrivare a destinazione è di dodici ore e dieci minuti.

Vanno aggiunti eventuali costi di trasferimento da Pratola Peligna all'aeroporto di Roma Fiumicino, che ammontano, in pullman, con andata e ritorno, a circa 44 euro (società Prontobus).

I costi si intendono a persona.

A Pratola Peligna ci sono numerose richieste per questa tipologia di voli, soprattutto verso Tirana e Caracas. Per Tirana più in estate, per Caracas tutto l'anno.

Si ringrazia l'agenzia Travelbuy di Pratola Peligna per le informazioni fornite.

La testimonianza di Maria, dalla Moldavia in Italia per fare la badante

In classe, durante il corso di intercultura, stiamo leggendo la lunga storia di Maria. Si tratta di una testimonianza forte, che ci fa riflettere molto. É un pezzo vero di vita, scritto di pugno dalla donna, di origini moldave, ma costretta a trasferirsi in Italia perché senza lavoro e con cinque figli sulle spalle. Seguiranno, a breve, i nostri pensieri.




Tione

Mai avrei pensato di trovare la forza per stare lontana dai miei figli per 5 lunghi anni. Se qualcuno me l’avesse detto prima, gli avrei risposto che è impossibile. Ma ora credo che tutto è possibile nella vita di un essere umano. Ero arrivata da poco e Tione mi appariva ancora come una sconosciuta piena di misteri. Il vento soffiava appena, facendo cadere le foglie gialle dagli alberi. Volteggiavano leggere finché lentamente si posavano per terra. Seguivo il loro percorso con lo stesso stupore con cui osservavo il paese che stava davanti ai miei occhi in quel giorno d’autunno dell’anno 2004. 


Ma cosa mancava di mistero nella mia nuova vita? Soltanto i miei pensieri e i miei sogni, forse. Mi trovavo in macchina. Guardavo gli alberi che si perdevano alla mia vista e gli edifici che cambiavano molto velocemente. Mi sentivo a disagio per via dei miei vestiti eleganti, perché non riuscivo a capire tutto ciò che sentivo dire intorno a me, per il confronto tra la mia vita trascorsa e la mia nuova vita.

In macchina, oltre a me, c’erano la signora Marcella e suo marito Dario. Mi avevano parlato il giorno prima della loro intenzione di portarmi al ristorante per mangiare la pizza. Ero da poche settimane la badante della madre di Marcella. Una vecchia signora che parlava poco. Usava i gesti. Meglio per me, che di italiano sapevo ben poco.

Nel ristorante notai subito il contrasto dei miei abiti con quelli della gente seduta ai tavoli con jeans, magliette comode e scarpe da ginnastica. Notai anche che la gente parlava e sorrideva poco. Il ristorante era carino, intimo, in contrasto con i nostri ristoranti moldavi, spaziosi, ma con pareti e tavoli austeri. La differenza era che da noi la gente scherzava, rideva molto e beveva ancor di più. Si andava al ristorante per dimenticare le giornate di lavoro pesante e le amarezze. Quei momenti trascorsi tra i camerieri che giravano con i piatti in mano e la nostra musica tradizionale diventavano speciali. Qualche coppia ballava. Si immergevano talmente nel ritmo della musica da far pensare solo al bello della vita.

Tornai con i pensieri al presente perché mi sentii chiamare:
- Maria, mi diceva Marcella, che pizza vuoi mangiare e cosa vuoi bere?

La guardai smarrita per un po’ di tempo e poi decisi di chiederle aiuto.

- Lei può aiutare me per scegliere?

- Pizza margherita, capricciosa, prosciutto e funghi, diavola…

Guardai ancora Marcella e poi il menù e, infine, indicai con la punta del dito quella con prosciutto e funghi. Avevo sentito la signora anziana dire a Marcella di comprarle del prosciutto al supermercato. Lo avevo assaggiato anch’io e mi era piaciuto. Mangiammo in silenzio, senza la musica, senza allegria, ciascuno assorto nei propri pensieri. Io pensavo alla vita lasciata di recente e a quella che dovevo affrontare, loro probabilmente al loro presente e al loro futuro.
Mi sentivo catapultata da un mondo all’altro. Dalla pianura moldava ai monti del Trentino. Dalla vita dell’est Europa alla vita occidentale. Dal passato al presente.

Mi chiamo Maria. Vengo dalla Moldavia e vivo in Trentino da 5 anni. Ho fatto e faccio tuttora la badante o, per meglio dire nel linguaggio moderno, l’assistente agli anziani. Non ho mai avuto dei documenti legali. Non ho mai toccato un permesso di soggiorno su cui fosse scritto il mio nome. Per fortuna non sono mai stata fermata dalle forze dell’ordine nei miei spostamenti in paese o nei miei tragitti da Tione a Trento o a Bolzano.

La mia vita in Italia è segnata dal dolore continuo provocato dalla lontananza dei miei figli. I miei pensieri viaggiano senza sosta tra la vita dei miei figli e quella che devo affrontare giorno per giorno qui. La mia mente si dibatte tra ricordi e realtà, tra emozioni e sofferenze. Mi sembra di vivere due vite parallele, una virtuale a distanza e l’altra qui, dove sono fisicamente.

I ricordi del passato li tengo chiusi nel mio cuore come in uno scrigno. Belli e brutti. Quelli che mi fanno male, con furia li sospingo indietro, lasciando emergere soltanto quelli dei figli.

Ho 5 figli in Moldavia. Il più piccolo si chiama Catalin e ora ha 7 anni. Frequenta la prima elementare. La scuola si trova a 2 chilometri da casa. La percorre solitamente con la bici che gli ho mandato qualche tempo fa. Di lui si occupano i fratelli più grandi. E’ venuto al mondo, infatti, dopo 10 anni dalla nascita di Alina, seguita da Dimitrie, Victoria e Mihai.

I miei figli oggi li vedo nelle foto o nei video ripresi dalla fotocamera che ho regalato loro. Ma più che aver fatto un regalo a loro, ho fatto un regalo a me stessa. Le foto li mostravano immobili e io volevo sentirli parlare, vederli muovere…
Catalin aveva solo tre anni quando l’ho visto per l’ultima volta. L’ho salutato mentre dormiva dolcemente. Da allora sono passati 5 anni e mi sorprende, a volte, che riesca ancora a chiamarmi mamma al telefono.

- Mamma, ci sono degli aerei in Italia?
- Certo che ci sono, Catalin.

- E perché non ne prendi uno per venire a casa, solo per vederti e portarmi qualcosa e poi tornare.

- Se io venissi a casa, non potrei assicurarvi ciò che avete oggi.

- Avremo pazienza mamma, non ti preoccupare... dice allegramente Catalin.

Sentendolo, mi si stringe il cuore fino a farmi male. Anche lui è diventato grande, mi dico, ma senza convinzione, in quanto per me è rimasto sempre piccolo.
- Catalin, ora non posso ancora venire a casa…

E’ l’unica risposta che al momento ho per i miei figli.
Quando Catalin è andato a scuola gli ho comprato e mandato da qui lo zaino, i vestiti, quasi tutto insomma. Lo hanno accompagnato i miei figli più grandi, Victoria e Dimitrie. Mancavano sia la mamma che il papà. Il primo giorno di scuola è indimenticabile per tutti e anche per lui, credo, sia stato bello. Era tutto orgoglioso e camminava con fierezza accanto ai suoi fratelli. L’ho visto nel video che mi hanno mandato. Mentre lo guardavo, lacrime di tristezza e di gioia bagnavano le mie guance. Il dolore martellava il mio cuore, ma cercavo di negarlo. Davanti agli altri volevo mostrarmi fiera e forte. Forte come quando, per la prima volta, ho camminato per le vie di Trento e affrontato tutte le novità di vita nuova in un paese straniero.

A quell’epoca tutti i miei pensieri giravano intorno alla ricerca di un lavoro per guadagnare soldi e mandarli ai miei figli rimasti soli. Oggi i giorni e le notti continuano ad andare e venire così come le speranze e le paure.
Mi sento chiusa come in una botte senza via d’uscita. Dopo 5 anni sono ancora senza documenti e senza la possibilità di rivedere i miei figli. Mi sembra incredibile di aver resistito così a lungo. Non sapevo di essere così forte. Capisco sempre più che solo mettendoci alla prova riusciamo a scoprire i lati nascosti del nostro carattere. Sto cambiando. Sto imparando da questa gente che niente si può lasciare al caso. Mi sono affezionata alle montagne. Mi piace l’ordine e mi piace mantenere la parola data. Mi incanta, in generale, l’organizzazione. Tutte cose che da noi spesso mancano. Ho scoperto che dietro la diffidenza di tante persone si nasconde un carattere generoso e un animo sensibile. Non a tutti facciamo pena per il nostro destino. Spero, anzi, che anche da noi si possa imparare qualcosa.

Ho nostalgia della mia casa, del mio paese, della pianura che fila liscia fin dove, in lontananza, riesci ad intravedere l’orizzonte, qui mascherato dalle montagne. Se penso alla mia vita, mi pare che essa corra narrata lievemente da un’estranea bocca.

In Moldavia vivevo in un piccolo paese di campagna. Avevo frequentato la scuola di 8 classi nel nostro paese e altre due del liceo in un paese vicino. Mi sarebbe piaciuto proseguire con la scuola per infermieri, ma il mio percorso scolastico si è fermato a 10 classi. Ho iniziato a lavorare prima come operaia in una fabbrica, poi come ausiliaria in una scuola materna. Ho fatto perfino il muratore per due anni e ho venduto biglietti sull’autobus. Ero una ragazza carina, bassa di statura e snella. Nei miei occhi azzurri e profondi penso brillasse l’innocenza di una adolescente con tanti sogni per la sua vita. Quando avevo circa 16 anni, i ragazzi del paese cominciarono a corteggiarmi. Mi sono sposata molto giovane, così com’è tradizione in Moldavia. Il ragazzo scelto si chiamava Mircea. Era più o meno della mia stessa statura e, quando lo guardavo negli occhi, sentivo come un formicolio in tutto il corpo. Mi ero innamorata, ma, poi, con gli anni, l’amore se n’è andato, lasciando al suo posto l’amarezza per un matrimonio che affondava sempre più nel pantano della violenza del mio consorte. Mio marito è stato per tanti anni presidente della cooperativa del paese nell’epoca comunista. Quasi tutta la terra apparteneva allo stato e la gente si doveva accontentare di piccole particelle di terreno dove coltivare un po’ di patate, cipolle, verdure, etc. Il futuro di una ragazza a quei tempi comprendeva per forza il matrimonio e il crearsi una famiglia. Faceva parte della tradizione e della mentalità ereditata dalla generazione precedente. Raggiunta la maggiore età, a volte anche prima, la ragazza doveva scegliere il ragazzo che più le piaceva e sistemarsi.
Io mi ero sposata dopo tre anni di fidanzamento. Un’eccezione alla regola, forse, ma di sicuro abbiamo lasciato che le cose andassero da sé. La festa di matrimonio è durata un giorno e una notte, secondo la tradizione. La mattina del sabato siamo andati in Comune per il rito civile, nel pomeriggio in Chiesa per sposarci davanti a Dio. La sera è seguita la grande festa nel tendone costruito nel recinto di casa di mio marito. La grande parte della gente è venuta solo la sera, quando si mangia, si beve e si balla, e alla fine si regalano dei soldi, ciascuno secondo le proprie possibilità. Qui interveniva anche l’orgoglio delle famiglie, soprattutto quelle dei parenti, una specie di concorrenza tra chi regalava più denaro. C’era nei nostri paesi, e credo si mantenga tuttora, un orgoglio smisurato in tutte le cose che si facevano. Di fronte agli altri dovevi essere come loro o superiore a loro, altrimenti facevi parte del mondo delle persone anormali.
Il ricordo della mia partenza per l’Italia è ancora vivo.
Continua...